Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente pro- tempore della giunta regionale, ing. Giuseppe Giovenzana, a cio' autorizzato con deliberazione g.r. n. 13876 del 17 ottobre 1991, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dagli avv. proff. Giuseppe Franco Ferrari e Giovanni Motzo, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, viale Angelico n. 38, per conflitto di attribuzioni, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, a seguito e per effetto degli artt. 1, primo e secondo comma, e 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 1991, atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per l'attivazione dei servizi per il trattamento a domicilio dei soggetti affetti da Aids e patologie correlate, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 18 settembre 1991, n. 219. F A T T O L'art. 1, terzo comma, della legge 5 giugno 1990, n. 135 (programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'Aids), ha affidato ad un atto di indirizzo e coordinamento - da emanarsi ai sensi dell'art. 5 della legge n. 833/1978 - il compito di stabilire "criteri uniformi per l'attivazione del servizio di trattamento a domicilio dei soggetti affetti da Aids da parte delle unita' sanitarie locali dei posti di assistenza a ciclo diurno negli ospedali, ...., nonche' criteri uniformi per l'attivazione dei servizi di cui al secondo comma e sugli organici relativi". Lo stesso art. 1, al secondo comma, nel dettare i principi che devono presiedere alla graduale attivazione da parte delle unita' sanitarie locali dei servizi per il trattamento a domicilio dei soggetti affetti da Aids e patologie correlate, "sulla base di indirizzi regionali", dispone che "il trattamento a domicilio ha luogo mediante l'impiego ... del personale infermieristico del reparto ospedaliero da cui e' disposta la dimissione .. e puo' essere attuato anche presso idonee residenze collettive o case alloggio, con il ricorso ad istituzioni di volontariato o ad organizzazioni asssitenziali diverse all'uopo convenzionate o a personale infermieristico convenzionato", e, in ogni modo "entro il limite massimo di 2.100 posti da ripartire tra le regioni e le province autonome in proporzione alle rispettive esigenze ed entro il limite di spesa complessiva annua" ivi individuato. E' dunque chiara l'intenzione del legislatore statale di lasciare alla potesta' normativa delle regioni (e delle province autonome) la disciplina della concreta attivazione del servizio, nell'ambito dei suddetti limiti massimi di posti e di spesa e "secondo le rispettive esigenze"; intenzione espressa ancor piu' univocamente nel successivo art. 9, che fa obbligo alle regioni di "predisporre i programmi per le attivita' di cui all'art. 1 ... secondo comma". In questi termini, d'altronde, si e' recentemente espressa la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 37/1991: nel pronunciare l'infondatezza delle censure mosse dalle province autonome di Trento e Bolzano e dalla regione Lombardia al secondo comma del medesimo art. 1 della legge 135/1990 per invazione delle competenze regionali, nella parte in cui tale disposizione disciplina in modo dettagliato il servizio di trattamento a domicilio dei malati di Aids ed indica il tetto massimo dei posti da ripartire tra le regioni, la Corte ha motivato sul punto che "la norma censurata contiene ... solo criteri di larga massima cui deve ispirarsi il servizio, la cui concreta e graduale attivazione, peraltro e' soggetta ad "indirizzi regionali" e deve avvenire comunque secondo programmi formulati dalle stesse regioni; rilevando, in merito all'indicazione del numero massimo dei posti, che essi sono comunque da ripartire secondo le rispettive esigenze". Esaurita la disamina del secondo comma dell'art. 1 nel senso che qui interessa, e cioe' della piena conformita' del dettato legislativo agli artt. 117 e 118 della Costituzione, la Corte si e' altresi' espressa sull'impugnativa regionale del terzo comma dello stesso art. 1 per contrasto della norma impugnata con il principio di legalita', nel punto in cui demanda "la disciplina dell'attivita' a domicilio ad atti di indirizzo e coordinamento asseritamente privi di contenuto predeterminato". Sotto tale profilo la Corte ha osservato che "la legge circoscrive adeguatamente il contenuto degli atti (di indirizzo), descrivendo sia le attivita' da coordinare sia i rispettivi fini e criteri e, precisamente, nel secondo comma, prima parte (per quanto concerne il trattamento domiciliare) ... nel quale "sono sufficientemente specificate le caratteristiche dei servizi che si vogliono attuare". La ripartizione dei compiti regionali e ministeriali, come segnata nella legge n. 135/1990 e ribadita dalla Corte con la pronuncia richiamata, non puo' dunque lasciare dubbi sulla effettiva portata dell'atto governativo di indirizzo e coordinamento, il quale, nei limiti di posti e di spesa gia' indicati nel massimo dalla legge statale e poi successivamente ripartiti secondo le effettive esigenze a livello regionale (e provinciale), dovrebbe limitarsi a fissare criteri, relativi alle modalita' e alle caratteristiche di attivazione del servizio, di natura meramente tecnica, nel rispetto dello specifico fondamento legislativo della potesta' di indirizzo e coordinamento e dei vincoli elaborati dalla giurisprudenza della corte costituzionale in ordine all'esercizio di tale potesta'. Di ben piu' ampia e puntuale portata, al contrario, la disciplina contenuta nell'atto di indirizzo e coordinamento impugnato, il quale testualmente, all'art. 1, attivazione dei servizi per il trattamento a domicilio, prevede: "a) l'attivazione presso residenze collettive o case alloggio ... di un numero di posti pari al 25% di quelli complessivamente disponibili ...; b) l'attivazione del restante 75% dei posti a convenzioni con istituzioni di volontariato e con organizzazioni assistenziali di- verse e, per il 50% dei posti, alla diretta attivita' assistenziale del personale del reparto ospedaliero da cui e' disposta la dimissione". Per cio' che riguarda, infine, la ripartizione delle risorse finanziarie entro i limiti massimi di spesa legislativamente indicati, l'atto di indirizzo procede direttamente, all'art. 2, sulla base della precedente ripartizione numerica dei posti, alla puntuale destinazione delle risorse complessivamente disponibili in "lire ventitre miliardi per la stipula di convenzioni con idonee residenze collettive o case alloggio ...; b) lire quindici miliardi per la stipula di convenzioni per l'assistenza a domicilio con istituzioni di volontariato e con organizzazioni assistenziali diverse ...; c) lire sedici miliardi per l'integrazione degli organici di ricovero ... da utilizzare nelle attivita' relative al trattamento a domicilio". La disciplina contenuta nel d.P.R. 14 settembre 1991 e' gravemente lesiva delle attribuzioni costituzionali della regione Lombardia, che solleva pertanto, con il presente ricorso, conflitto di attribuzione per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione; violazione dell'art. 1 della legge 5 giugno 1990, n. 135; Carenza di fondamento legislativo e violazione del principio di legalita'. La Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 150/1982, ha costantemente asserito che "l'esercizio in via amministrativa del potere statale di indirizzo e coordinamento e' stato sottoposto alla condizione di validita' dell'osservanza del principio di legalita'" (decisione n. 359 dell'11 luglio 1991) occorrendo una disposizione legislativa che funga "da base normativa sufficientemente precisa e chiara da poter orientare e delimitare la discrezionalita' del Governo nella determinazione degli indirizzi e delle misure di coordinamento" (ibidem). E d'altra parte (sent. n. 177/1988) questi ultimi devono lasciare sussistere un "necessario spazio di autonomia" dettando solo criteri "criteri minimali di uniformita'". Il d.P.R. impugnato con il presente conflitto di attribuzione contiene invece una disciplina puntuale che, lungi dal limitarsi ai profili di cui all'art. 1, terzo comma, della legge n. 135/1990 (attivazione dei posti di assistenza a ciclo diurno negli ospedali e attivazione dei servizi di cui al secondo comma, investe dettagliatamente il contenuto degli interventi, il riparto tra i diversi tipi di essi (attivazione di posti presso residenze collettive o case alloggio e attivazione del servizio a domicilio) nonche', addirittura, nell'ambito del trattamento a domicilio, la quota riservata alle istituzioni di volontariato e ad altre organizzazioni assistenziali, e infine il riparto delle risorse finanziarie in diretta relazione con il rapporto tra i predetti interventi. Tale disciplina non ha carattere esclusivamente tecnico ma riveste natura di indirizzo e coordinamento amministrativo, come qualificato dalla costante giurisprudenza della Corte nel senso ripreso da ultimo nella sentenza n. 359/1951. Le disposizioni censurate, prefissando la ripartizione degli interventi da attivare secondo rigidi rapporti di proporzionalita', precludono alle regioni la discrezionale potesta' normativa che al contrario lo stesso legislatore statale ha inteso garantire, sia con la riserva di cui all'art. 9, primo comma, della legge n. 135/1990, sia con il piu' volte citato criterio valutativo delle "rispettive esigenze" in sede di ripartizione dei posti da realizzare entro il tetto massimo prefissato ex lege. E' bensi' vero che l'art. 4 del d.P.R. 14 maggio 1991, nel precisare che la ripartizione secondo quote "costituisce un criterio orientativo" nell'ambito della programmazione regionale, all'apparenza simula di temperare la portata della suddivisione in quote riportandola nei limiti di un mero principio di tendenza, ma e' altresi' vero che, a fronte della reale rigidita' dei rapporti di proporzionalita' precedentemente fissati, tale disposizione costituisce in realta' un mero omaggio formale alla natura di atto di indirizzo e coordinamento del decreto impugnato. In particolare, la suddivisione di cui alle lettere a) e b) dell'art. 1 e la conseguente ripartizione delle risorse finanziarie di cui all'art. 2), capovolge i criteri generali indicati nell'art. 1, secondo comma, della legge n. 135 imponendo per una percentuale garantita del 25% il trattamento presso residenze collettive e case alloggio, il quale invece, alla stregua della legge, e' misura residuale, da attivarsi con le prescritte cautele, come del pari non vi e' traccia nella legge della volonta' di riservare quote del trattamento domiciliare al convenzionamento con istituzioni di volontariato. Per cio' che riguarda, infine, la ripartizione delle risorse finanziarie entro i limiti massimi di spesa legislativamente indicati, l'atto di indirizzo la opera, all'art. 2, direttamente, condizionando cosi' pesantemente l'autonomia organizzativa e di spesa delle regioni. in circostanze analoghe, la corte ha pronunciato l'illegittimita' di atti di indirizzo e coordiamento in tema di riorganizzazione dei presidi ospedalieri (sentenza 15 giugno 1988, n. 338) e di individuazione degli elementi strutturali dei presidi di diagnostica di laboratorio (sentenza 19 maggio 1988, n. 560). 2. - mancata consultazione della conferenza Stato-regioni e violazione dell'art. 12, quinto comma, lett. b) della legge n. 400/1988. La conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni deve essere consultata sui "criteri generali relativi all'esercizio delle funzioni statali di indirizzo e coordinamento". Tale consultazione non ha avuto luogo nella fattispecie, ne' ve ne e' traccia nelle premesse del d.P.R. Il vizio procedurale concreta di per se' lesione dell'autonomia regionale.